Sette contro Tebe di Eschilo e Antigone di Sofocle, dirette dalla regista Cinzia Maccagnano, sono prodotte dall’Associazione Culturale DIDE in collaborazione con
Associazione Culturale TETIDE, Amenanos Festival.
SETTE CONTRO TEBE
La messa in scena Sette contro Tebe, diretta da Cinzia Maccagnano, presenta diverse innovazioni che non stravolgono il Testo bensì lo potenziano ridando nuova linfa vitale a determinati personaggi:
Polinice è un personaggio parlante/agente, con dei monologhi tratti dalle Fenicie di Euripide e da Edipo a Colono di Sofocle, la regista ha cercato di tirar fuori il più possibile Polinice, in quanto, nei Sette contro Tebe risulta essere uno dei guerrieri, il peggiore nella misura in cui è il fratello ad attaccare un membro della sua famiglia e la sua patria:
<< in questo caso, mi interessava che si vedesse un’umanità, forse ancora più struggente, nel vedere che, comunque, è un uomo che ha sofferto. Per me, Eteocle e Polinice erano uguali, in qualche maniera, nella loro scelta tragica>>.
Il Coro, fondamentale in ogni tragedia, è presente in gran parte del testo eschileo, così, nella rappresentazione la regista ha voluto puntare su un coro di donne che tra corifee e coreute rievocasse il numero sette e in diversi punti della rappresentazione venissero trattate come soliste a tutti gli effetti.
Un coro di donne che, anziché essere solo spaventate, erano in qualche modo anche pronte ad agire, erano anche guerriere: «anche perché è la visione di una donna, così com’è raccontata nei classici greci, in cui la resistenza per me è anche lotta».
Sette donne da contrapporre ai guerrieri nemici. Esse entrano in scena con dei vessilli votivi, ciascuno dei quali rappresenta una divinità descritta da ognuna di loro, come se la incarnasse: Il loro rivolgersi ognuna ad una divinità mi ha colpito, come se fossero oltre a delle donne che pregano, anche pronte a personificare questa semidivinità e a difendere fisicamente, sebbene intimorite, spaventate.
Mi piace dare questa capacità di ausilio, anche perché nei Sette contro Tebe sentiamo l’assedio da fuori ma non vediamo i difensori all’interno pronti a combattere.
Horkos, il demone che personifica la maledizione inflitta a colui che giura il falso, che si trova nel testo eschileo, dove non compare come personaggio ma la cui presenza lo pervade, e rappresenta l’origine e il motore della vicenda, qualcosa da cui non si può prescindere, di ineluttabile, il grembo da cui nasce la nostra messa in scena.
Mi interessava, e mi sembrava giusto, che ci fosse qualcosa che ci ricordasse da cosa stiamo venendo. Il monologo di Horkos ci ricorda questa maledizione che poi, in fondo, non è altro che un’incomprensione, una rabbia che ha origine dai genitori.
Giocasta, Il finale è inedito e commovente, un monologo proferito da una trasmigrazione di Giocasta, tratto dalle Fenicie di Euripide, mentre i due fratelli Eteocle e Polinice, ritornati fanciulli, litigando come bambini, alla fine, si abbracciavano facendo trionfare l’amore sull’odio, la benevolenza sull’egoismo:
« una Giocasta che si identifica con un ricordo, un desiderio di essere migliori, che in questo caso non è stato possibile ma che, in qualche modo, diventa una speranza, la speranza che non riaccada questa lotta fratricida».