I Cavalieri
Teatro dell'Efebo
17,00 €
Sulla scena del nostro circo decadente campeggia un cartello con la scritta
“CERCASI CARATTERISTA”, ovvero l’attore capace di interpretare personaggi
caricaturali ed eccentrici, quindi il ruolo necessario alla commedia e, nel
caso de I Cavalieri, necessario anche alla scena politica, che conquisti il
pubblico e Popolo.
La commedia comincia con due servi, due servi di casa, servi del Popolo,
due “comici dell’arte politica” che si autodefiniscono servi dello Stato, i
quali, non soddisfatti del proprio tornaconto, cercano una strada per
liberarsi di tale Paflagone, demagogo arrogante e ruffiano, che di mestiere
fa il conciapelli, il quale asseconda i peggiori istinti del Popolo e ne trae
vantaggio solo per sé. In breve, ci mostrano l’unica strada possibile che per
scalzare un farabutto: ne serve uno peggiore.
E lo trovano: un salsicciaio, un uomo che viene dalla strada, il quale si
dichiara ignorante e ladro perciò, si direbbe, non adatto a fare politica. Ma
i due servi lo adulano e convincono che ha tutte le doti necessarie, che anzi
è proprio “un politico nato” e che sono pronti a garantirgli l’appoggio
necessario di una parte di società: lo sosterranno i Cavalieri.
Ecco quindi che comincia la girandola di numeri che altro non sono che
scontri verbali, come nelle tribune politiche con tanto di par condicio, e
azioni ruffiane nei confronti del Popolo, come le continue false promesse di
piazza di ogni tempo.
Interessante però è la visione che di Demos, ovvero Popolo, ci dà
Aristofane: un vecchio egoista e corruttibile, intento solo al proprio
benessere, credulone, pronto a scegliere come proprio governate chi
promette di trattarlo meglio.
Ma in un a parte rivela al pubblico che gli piace fare lo scemo! Allevare in
Parlamento chi lui stesso sceglie, esaltandolo e rendendolo tronfio, finché
non si senta insoddisfatto e allora, come un Tiranno, lo farà cadere.
Insomma la volgarità, l’egoismo, la cialtroneria del tempo sembrano
proprio coincidere con quelli del nostro.E i Cavalieri? Chi sono? Nella società Ateniese era una classe sociale che
oggi potremmo individuare in quella della media borghesia. Ma nella
nostra società, a mio avviso, le varie classi sociali hanno ridotto
notevolmente le differenze. I Cavalieri sono strumento dell’azione
demagogica dei politici, e, in un coro in particolare, rivelano il loro stare
dalla parte del Poeta, il loro essere attori. Aristofane stesso si fa difendere
da loro. Perciò ho voluto identificare i Cavalieri con gli artisti che in tutti i
tempi e in quello nostro più che mai, sono mossi ancora da ideali e sempre
pronti alla “lotta”, ma poiché tenuti sempre allo stato di necessità, ecco che
finita la protesta promossa da interessi politici, tornano “in quinta”, come
burattini, vivi, ma non autonomi.
In tutto questo circo, spietato e a tratti zotico, che è la vita sociale e politica
di cui ci parla Aristofane e anche di questi tempi, mi mancava una voce
“popolare” che nel Popolo rappresentato di Aristofane non c’è.
Allora mi è venuta in soccorso la poesia ironica, satirica e sentimentale di
Trilussa che in 3 quadri ferma il ritmo serrato della scena per consegnarci
una morale, una riflessione che, come dice Pasolini, è “una desolata
incredulità nelle cose del mondo”.
Cinzia Maccagnano
Descrizione
Sulla scena del nostro circo decadente campeggia un cartello con la scritta
“CERCASI CARATTERISTA”, ovvero l’attore capace di interpretare personaggi
caricaturali ed eccentrici, quindi il ruolo necessario alla commedia e, nel
caso de I Cavalieri, necessario anche alla scena politica, che conquisti il
pubblico e Popolo.
La commedia comincia con due servi, due servi di casa, servi del Popolo,
due “comici dell’arte politica” che si autodefiniscono servi dello Stato, i
quali, non soddisfatti del proprio tornaconto, cercano una strada per
liberarsi di tale Paflagone, demagogo arrogante e ruffiano, che di mestiere
fa il conciapelli, il quale asseconda i peggiori istinti del Popolo e ne trae
vantaggio solo per sé. In breve, ci mostrano l’unica strada possibile che per
scalzare un farabutto: ne serve uno peggiore.
E lo trovano: un salsicciaio, un uomo che viene dalla strada, il quale si
dichiara ignorante e ladro perciò, si direbbe, non adatto a fare politica. Ma
i due servi lo adulano e convincono che ha tutte le doti necessarie, che anzi
è proprio “un politico nato” e che sono pronti a garantirgli l’appoggio
necessario di una parte di società: lo sosterranno i Cavalieri.
Ecco quindi che comincia la girandola di numeri che altro non sono che
scontri verbali, come nelle tribune politiche con tanto di par condicio, e
azioni ruffiane nei confronti del Popolo, come le continue false promesse di
piazza di ogni tempo.
Interessante però è la visione che di Demos, ovvero Popolo, ci dà
Aristofane: un vecchio egoista e corruttibile, intento solo al proprio
benessere, credulone, pronto a scegliere come proprio governate chi
promette di trattarlo meglio.
Ma in un a parte rivela al pubblico che gli piace fare lo scemo! Allevare in
Parlamento chi lui stesso sceglie, esaltandolo e rendendolo tronfio, finché
non si senta insoddisfatto e allora, come un Tiranno, lo farà cadere.
Insomma la volgarità, l’egoismo, la cialtroneria del tempo sembrano
proprio coincidere con quelli del nostro.E i Cavalieri? Chi sono? Nella società Ateniese era una classe sociale che
oggi potremmo individuare in quella della media borghesia. Ma nella
nostra società, a mio avviso, le varie classi sociali hanno ridotto
notevolmente le differenze. I Cavalieri sono strumento dell’azione
demagogica dei politici, e, in un coro in particolare, rivelano il loro stare
dalla parte del Poeta, il loro essere attori. Aristofane stesso si fa difendere
da loro. Perciò ho voluto identificare i Cavalieri con gli artisti che in tutti i
tempi e in quello nostro più che mai, sono mossi ancora da ideali e sempre
pronti alla “lotta”, ma poiché tenuti sempre allo stato di necessità, ecco che
finita la protesta promossa da interessi politici, tornano “in quinta”, come
burattini, vivi, ma non autonomi.
In tutto questo circo, spietato e a tratti zotico, che è la vita sociale e politica
di cui ci parla Aristofane e anche di questi tempi, mi mancava una voce
“popolare” che nel Popolo rappresentato di Aristofane non c’è.
Allora mi è venuta in soccorso la poesia ironica, satirica e sentimentale di
Trilussa che in 3 quadri ferma il ritmo serrato della scena per consegnarci
una morale, una riflessione che, come dice Pasolini, è “una desolata
incredulità nelle cose del mondo”.
Cinzia Maccagnano