I Cavalieri

Teatro dell'Efebo

17,00 

Sulla scena del nostro circo decadente campeggia un cartello con la scritta

“CERCASI CARATTERISTA”, ovvero l’attore capace di interpretare personaggi

caricaturali ed eccentrici, quindi il ruolo necessario alla commedia e, nel

caso de I Cavalieri, necessario anche alla scena politica, che conquisti il

pubblico e Popolo.

La commedia comincia con due servi, due servi di casa, servi del Popolo,

due “comici dell’arte politica” che si autodefiniscono servi dello Stato, i

quali, non soddisfatti del proprio tornaconto, cercano una strada per

liberarsi di tale Paflagone, demagogo arrogante e ruffiano, che di mestiere

fa il conciapelli, il quale asseconda i peggiori istinti del Popolo e ne trae

vantaggio solo per sé. In breve, ci mostrano l’unica strada possibile che per

scalzare un farabutto: ne serve uno peggiore.

E lo trovano: un salsicciaio, un uomo che viene dalla strada, il quale si

dichiara ignorante e ladro perciò, si direbbe, non adatto a fare politica. Ma

i due servi lo adulano e convincono che ha tutte le doti necessarie, che anzi

è proprio “un politico nato” e che sono pronti a garantirgli l’appoggio

necessario di una parte di società: lo sosterranno i Cavalieri.

Ecco quindi che comincia la girandola di numeri che altro non sono che

scontri verbali, come nelle tribune politiche con tanto di par condicio, e

azioni ruffiane nei confronti del Popolo, come le continue false promesse di

piazza di ogni tempo.

Interessante però è la visione che di Demos, ovvero Popolo, ci dà

Aristofane: un vecchio egoista e corruttibile, intento solo al proprio

benessere, credulone, pronto a scegliere come proprio governate chi

promette di trattarlo meglio.

Ma in un a parte rivela al pubblico che gli piace fare lo scemo! Allevare in

Parlamento chi lui stesso sceglie, esaltandolo e rendendolo tronfio, finché

non si senta insoddisfatto e allora, come un Tiranno, lo farà cadere.

Insomma la volgarità, l’egoismo, la cialtroneria del tempo sembrano

proprio coincidere con quelli del nostro.E i Cavalieri? Chi sono? Nella società Ateniese era una classe sociale che

oggi potremmo individuare in quella della media borghesia. Ma nella

nostra società, a mio avviso, le varie classi sociali hanno ridotto

notevolmente le differenze. I Cavalieri sono strumento dell’azione

demagogica dei politici, e, in un coro in particolare, rivelano il loro stare

dalla parte del Poeta, il loro essere attori. Aristofane stesso si fa difendere

da loro. Perciò ho voluto identificare i Cavalieri con gli artisti che in tutti i

tempi e in quello nostro più che mai, sono mossi ancora da ideali e sempre

pronti alla “lotta”, ma poiché tenuti sempre allo stato di necessità, ecco che

finita la protesta promossa da interessi politici, tornano “in quinta”, come

burattini, vivi, ma non autonomi.

In tutto questo circo, spietato e a tratti zotico, che è la vita sociale e politica

di cui ci parla Aristofane e anche di questi tempi, mi mancava una voce

“popolare” che nel Popolo rappresentato di Aristofane non c’è.

Allora mi è venuta in soccorso la poesia ironica, satirica e sentimentale di

Trilussa che in 3 quadri ferma il ritmo serrato della scena per consegnarci

una morale, una riflessione che, come dice Pasolini, è “una desolata

incredulità nelle cose del mondo”.

Cinzia Maccagnano

Categoria:

Descrizione

Sulla scena del nostro circo decadente campeggia un cartello con la scritta

“CERCASI CARATTERISTA”, ovvero l’attore capace di interpretare personaggi

caricaturali ed eccentrici, quindi il ruolo necessario alla commedia e, nel

caso de I Cavalieri, necessario anche alla scena politica, che conquisti il

pubblico e Popolo.

La commedia comincia con due servi, due servi di casa, servi del Popolo,

due “comici dell’arte politica” che si autodefiniscono servi dello Stato, i

quali, non soddisfatti del proprio tornaconto, cercano una strada per

liberarsi di tale Paflagone, demagogo arrogante e ruffiano, che di mestiere

fa il conciapelli, il quale asseconda i peggiori istinti del Popolo e ne trae

vantaggio solo per sé. In breve, ci mostrano l’unica strada possibile che per

scalzare un farabutto: ne serve uno peggiore.

E lo trovano: un salsicciaio, un uomo che viene dalla strada, il quale si

dichiara ignorante e ladro perciò, si direbbe, non adatto a fare politica. Ma

i due servi lo adulano e convincono che ha tutte le doti necessarie, che anzi

è proprio “un politico nato” e che sono pronti a garantirgli l’appoggio

necessario di una parte di società: lo sosterranno i Cavalieri.

Ecco quindi che comincia la girandola di numeri che altro non sono che

scontri verbali, come nelle tribune politiche con tanto di par condicio, e

azioni ruffiane nei confronti del Popolo, come le continue false promesse di

piazza di ogni tempo.

Interessante però è la visione che di Demos, ovvero Popolo, ci dà

Aristofane: un vecchio egoista e corruttibile, intento solo al proprio

benessere, credulone, pronto a scegliere come proprio governate chi

promette di trattarlo meglio.

Ma in un a parte rivela al pubblico che gli piace fare lo scemo! Allevare in

Parlamento chi lui stesso sceglie, esaltandolo e rendendolo tronfio, finché

non si senta insoddisfatto e allora, come un Tiranno, lo farà cadere.

Insomma la volgarità, l’egoismo, la cialtroneria del tempo sembrano

proprio coincidere con quelli del nostro.E i Cavalieri? Chi sono? Nella società Ateniese era una classe sociale che

oggi potremmo individuare in quella della media borghesia. Ma nella

nostra società, a mio avviso, le varie classi sociali hanno ridotto

notevolmente le differenze. I Cavalieri sono strumento dell’azione

demagogica dei politici, e, in un coro in particolare, rivelano il loro stare

dalla parte del Poeta, il loro essere attori. Aristofane stesso si fa difendere

da loro. Perciò ho voluto identificare i Cavalieri con gli artisti che in tutti i

tempi e in quello nostro più che mai, sono mossi ancora da ideali e sempre

pronti alla “lotta”, ma poiché tenuti sempre allo stato di necessità, ecco che

finita la protesta promossa da interessi politici, tornano “in quinta”, come

burattini, vivi, ma non autonomi.

In tutto questo circo, spietato e a tratti zotico, che è la vita sociale e politica

di cui ci parla Aristofane e anche di questi tempi, mi mancava una voce

“popolare” che nel Popolo rappresentato di Aristofane non c’è.

Allora mi è venuta in soccorso la poesia ironica, satirica e sentimentale di

Trilussa che in 3 quadri ferma il ritmo serrato della scena per consegnarci

una morale, una riflessione che, come dice Pasolini, è “una desolata

incredulità nelle cose del mondo”.

Cinzia Maccagnano